Raccontando - 05/03/2025 inserita da A.P.S.

COSÌ È NATA UNA PASSIONE, un racconto autobiografico collocato negli anni '50 e '60, nel distretto milanese dell'auto

Ci sono mille ragioni per diventare collezionisti: questa è la motivazione del "socio 4603".

 

Sono cresciuto in viale Certosa, a poca strada dalla fabbrica milanese dove lavorava il mio papà, in quello che era il "distretto" milanese dell'auto nel dopoguerra: l'Alfa Romeo e le carrozzerie Touring e Colli. La mia memoria arriva ancora a quegli anni cinquanta, quando anche chi lavorava in fabbrica era solito salutare, uscendo da casa, chiudendo il buongiorno con un "vù a bùtéga", e identificando così il proprio posto di lavoro come la bottega artigianale, di cui ciascuno ha cura.

Ed è anche così che da quella fabbrica uscivano davvero le auto che facevano togliere il cappello ad Henry Ford, prodotte con la stessa attenzione con la quale venivano progettate e sperimentate.

Erano gli anni dell'Alfa Romeo 1900, la prima berlina di grande serie prodotta su una catena di montaggio dal marchio milanese, che abbandonava la costruzione su misura ed in pochi esemplari delle precedenti 2500 a sei cilindri con il loro possente telaio a longheroni. La stessa 1900 che diventò la prima “pantéra” della Polizia.

Erano anche gli anni della 159 “Alfetta” campione del mondo, in quella che poi diventerà la Formula 1; ne ho un modello in scala 1:24, realizzato nella stessa Alfa Romeo. A natale, o giù di lì, si andava tutti allo spettacolo del Circo (Togni), alla conclusione del quale si distribuivano i regali ai figli dei dipendenti: la costruzione del sentimento di “appartenenza” passava anche attraverso queste consuetudini.

Nel 1956 è cominciato il mio percorso scolastico, l’anno successivo alla presentazione della Giulietta berlina. Per andare da casa a scuola passavo per via Ludovico di Breme ed ogni mattina vedevo i battilastra al lavoro nel modellare le forme delle carrozzerie in alluminio. Già: l'Alfa costruiva ancòra, accanto alle vetture complete, i soli autotelai motorizzati che i carrozzieri vestivano anche a misura di cliente.

La 1900, infatti, usciva completa di carrozzeria (berlina) dalle linee di lavorazione della fabbrica, ma per non perdere artigianalità e creatività dei carrozzieri lombardi e piemontesi (e per ampliare l’offerta a sostegno del modello “base”) venne realizzata una versione di telaio "corto" con motore più prestazionale, che i carrozzieri stessi potevano allestire in piccole serie, con linee più sportive o più innovative.

Quella di via di Breme era la Carrozzeria Touring, famosa per le superleggere e le 1900 CSS, dove C sta per telaio Corto e SS per Super Sprint.

Ci passavo insieme ad altri compagni, spesso in compagnia della custode del palazzo dove viveva la mia famiglia: una signora un po' appesantita, che accompagnava il proprio nipote Angelo. Si chiamava Stella ed aveva una particolarità: si dedicava al pranzo fin dal primo mattino e, accompagnandomi, mi prendeva per mano dopo aver preparato il soffritto. Così la mia mano sinistra puzzava d'aglio per tutta la mattina, in attesa della campanella dell'intervallo per potermela lavare! A destra tenevo, pesante, la cartella: la scoliosi mi sarà venuta anche per questo? Il mio papà non voleva che portassi la cartella con le due cinghie, come uno zaino: "roba da montanari e diventi gobbo". Ed è così che non sono gobbo; sono solo un po’ storto.

Così come non mi mettevano i calzoni lunghi durante l'inverno, e nemmeno quelli “alla zuava” (ampi, arricciati e rimboccati sotto il polpaccio). Rigorosamente pantaloncini, non più coprenti dei boxer di oggi, però di stoffa pesante: cosce livide dal freddo, ma vigore maschio! In fondo, il fascismo era finalmente caduto solo pochi anni prima, ma alcune consuetudini sarebbero state dure a morire. Come quella di italianizzare i nomi stranieri: sono nato con la Costituzione Italiana, ma un nostalgico ufficiale d’anagrafe non ha voluto la doppia vi nel mio nome!

Dopo le millenove carrozzate da Touring, Zagato, Pininfarina, Bertone, Vignale, Ghia ed altri, si avvia alla conclusione l'epopea delle varianti speciali, alle quale appartiene un esemplare unico poco noto e da autentico pettegolezzo mondano, ovvero gossip. Venne realizzato dalla carrozzeria Ghia di Aigle, non lontano da Montreux, per un ricco uomo d’affari svizzero appassionato dei motoscafi Riva che commissionò una vettura assolutamente in stile “motoscafo”: niente portiere, niente bagagliaio ed un parabrezza tipo barca. Completata nel ’56 ed esposta al Salone d’Eleganza di Campione d’Italia, costui la diede “in comodato” alla propria amante fino a quando la moglie se ne accorse, la requisì e la bandì in un deposito dove rimase per circa 30 anni! Nel 2022 è stata messa in vendita a Gstaad con una quotazione di oltre 300000 franchi svizzeri. Io ce l’ho in scala 1/43, come tutte le altre.

Nel '54 arriva la Giulietta sprint, carrozzata da Bertone, che si è cimentato sulla 1900 con le BAT5, 7 e 9. Non c’entrano con Batman anche se, viste oggi, sembrano evocarlo: BAT sta per Berlinetta Aerodinamica Tecnica, esperimenti di sofisticata aerodinamica, con Cx inferiori a 0,20, che preludono a modelli successivi. E la Giulietta sprint qualcosa si porta dietro; sicuramente il disegno del lunotto. Nasce prima il coupé della berlina, che arriverà nel '55 e verrà prodotta fino al '66. Mitica! In curva rollava come un motoscafo (dal lato opposto, ovviamente) ma la disegnava come se avesse avuto un compasso collegato al volante.

Di "Giulietta" verranno realizzate molte varianti, anche corsaiole: dallo spider della Dolce Vita di Fellini alle TZ1 e TZ2 (telaio Tubolare Zagato), che se ci sali oggi ti sembra di avere lo scarico del motore nella pancia, tanto il rombo è potente!

Ci sono salito nel '91, a Balocco, col caro Guido Moroni, capo del collaudo Alfa per decenni. Abbiamo fatto un giro di pista con una TZ2 del museo storico, portata là per una visita di ispettori IMI, l’ente finanziatore di alcuni progetti di quel periodo (gli ispettori vanno sempre trattati bene e possibilmente "svagati", soprattutto in occasione delle verifiche). Guido si lamentava un po' della funzionalità del cambio: "una volta, le marce si inserivano meglio", "le automobili tenute nel museo diventano vecchie e meno agili ". Come noi.

Certo, chiamarsi Guido ed essere un collaudatore provetto... è una facilitazione non da poco! Direi, un auspicio ed una premonizione insieme.

Con Guido, in quegli anni, lavoravano Gavelli e Mirarchi. Il secondo era da paura! Stavamo sperimentando una 164 3000cc con trazione integrale e ruote posteriori sterzanti, ed io mi occupavo delle prove. Un giorno, a Balocco volle guidarla, a modo suo. In due giri di pista distrusse le spalle degli pneumatici, ma alla fine mi disse che le ruote posteriori erano disallineate. Le feci misurare: in effetti, la destra era 20' di grado più convergente della sinistra!

Gavelli era bravissimo: di fianco a lui ti sentivi sicuro, anche facendo il cambio di corsia a 130 all'ora, o girando sull'anello di ghiaccio ad Arvidsjaur a 110 all'ora, con la vettura tutta intraversata! Aveva pilotato nei rally automobilistici e guidava con gioia e vera maestria; qualche anno dopo, la mala sorte se l’è portato via, sulle strisce pedonali davanti a casa.

Dopo la 1900 e la Giulietta, l'Alfa Romeo si lanciò verso un nuovo modello, al passo coi tempi, e per la sua produzione venne costruito un nuovo stabilimento ad Arese: lo stabilimento della Giulia, "disegnata dal vento". In effetti, la Giulia T.I. che venne presentata nel 1962 poteva vantare un Cx di 0,34 contro lo 0,44 della coeva FIAT 1300, ma anche della Fulvia coupé.

Arese per molti anni conviverà col vecchio Portello, dove rimasero alcune lavorazioni meccaniche.

E per tutti quegli anni c'è stato un raccordo ferroviario che partiva dal Portello ed arrivava tra i campi di Arese, che giorno dopo giorno perdevano pezzi di pascolo e di agricoltura per riempirsi di villette (per i "sciúri") e di condomíni più abbordabili.

Su quelle rotaie sono caduto in bicicletta, per una scommessa stupida con un compagno dell’ITIS: "vediamo se riesci ad attraversare le rotaie senza caderci dentro, tenendo il manubrio diritto”.  Sono caduto, ed ho strappato i pantaloni lunghi che finalmente avevo avuto. Era il '62 e, per fortuna, c'erano ancora le rammendatrici.

Il trenino passava portando motori ed organi meccanici allo stabilimento di Arese, trainato da un locomotore diesel che fumava come un transatlantico; penso che passando dietro il Palazzolo (oggi Fondazione Don Gnocchi) se ne trovino ancora le tracce!

Prima dell’ITIS c’era stata la scuola media, con gli esami di ammissione. Oggi sembra incredibile, ma a 11 anni decidevi (decidevano) del tuo futuro e della tua crescita professionale. Se facevi la scuola media, avresti potuto accedere al liceo e all’università, altrimenti c’erano le scuole di avviamento professionale o commerciale. E ti fermavi lì, a 14 anni.

E la scuola media prevedeva il latino e le traduzioni in entrambi i versi; i miei figli, le traduzioni dall’italiano al latino non le hanno fatte più, nemmeno al Liceo Classico. Sarà davvero meglio?

Il preside della scuola media statale che ho frequentato, la Goffredo Mameli, si chiamava Morpurgo: un cognome che negli anni del fascismo era difficile da portare senza conseguenze. Me lo ricordo come una persona distinta, sobria ed elegante insieme ma soprattutto disponibile. Me lo ricordo anche perché dopo una gara di esercizi di matematica mi scrisse sul quaderno un “bravissimo”, del quale ho cercato di essere degno per gli anni successivi!

I motori della Giulia si realizzavano al Portello, a partire dalla forgiatura degli alberi a gomito.

Entrai per la prima volta nel reparto "forgia" a 19 anni. Diplomato a luglio, venni inserito nei gruppi di formazione IRI per il successivo impiego in Alfa Romeo, dove mio padre continuava il suo lavoro.

La forgia era davvero un girone infernale: gli alberi (a gomito) venivano scaldati sul carbone ardente e poi prendevano forma in una successione di passaggi sotto presse gigantesche che battevano con un rumore assordante. Gli operai che ho conosciuto io, tutti di buona stazza, lavoravano in coppia, uno di fronte all’altro e con pinze lunghe oltre mezzo metro afferravano l’albero rovente e lo mettevano sotto la pressa, che cadeva più volte per dargli via via la forma necessaria. La foto qui sotto è sicuramente antecedente, ma l’ambiente del 1968 non era molto differente… rumore, fuoco e grida per comunicare a pochi metri di distanza: allucinante! E passavano lì le loro ore di lavoro, ogni giorno.

Un altro operaio che ricordo bene, ma questa volta per la ripetitività e la postura, era nella linea di verniciatura della Giulia. La parte inferiore della scocca, dopo i primi passaggi di protezione, doveva essere riparata in alcuni punti per evitare le successive sovrapposizioni di vernice: non ricordo bene il processo produttivo, che certamente mi coinvolse meno dell'aspetto umano. Questo pover’uomo si appiccicava dei pezzi di nastro adesivo sugli avambracci, nell’intervallo fra il transito di una scocca e la successiva e poi, quando la nuova scocca agganciata alla catena di movimentazione passava sopra la sua testa, lui volgeva capo e sguardo in su e metteva i vari pezzi di nastro nei punti previsti. Anche questo ogni turno di lavoro, ogni giorno.

Ho cominciato il mio lavoro in Alfa nel febbraio 1970, dopo il servizio militare: si stavano completando le sperimentazioni dei progetti Alfetta (superando le difficoltà derivanti dalla trasmissione transaxle, che altri costruttori avevano tentato senza successo) e Alfasud.

E con l’Alfasud finirono gli anni con i bilanci positivi e cominciò la lunga discesa, conclusasi con il “regalo” del marchio e delle fabbriche a Fiat Auto. Allora si risvegliò proprio in tutti l’orgoglio dell’appartenenza, come quando mio padre andava “a bùtéga”, anche in coloro che erano stati più distanti dai valori tipici del marchio e dalla sua storia.

Da quell’appartenenza nasce la passione per i prodotti Alfa Romeo, anche se solo in scala 1/43 (però, una successione di 33 SportWagon e Alfa 75, cominciata con un millecinque e conclusa, a step di 100cc ogni volta, con il 2000 twin-spark, me la sono proprio goduta): duecento e passa modellini ho potuto permettermeli, soprattutto da quando non fumo più!

Custoditi in una bacheca autocostruita, a prova di polvere e mai esposta alla luce solare diretta, fanno bella mostra di sé. Sono tutte le Alfa stradali, i prototipi più significativi per lo stile dei modelli successivi ed alcune versioni corsaiole dal 1948 in poi, in parallelo ai quali si è svolto il mio percorso.

E c’è ancora spazio, eh!

 

 

 

 

 

 

 

 

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